C’era una volta, in un lontano futuro, uno stregone solitario. Aveva tutto, viveva nel privilegio ma quello era tutto quello che gli rimaneva dei suoi antichi fasti. Ciò che desiderava oltre ogni cosa però non erano i beni materiali che la magia ancora poteva manifestare ma era il controllo sugli altri esseri umani che però nei secoli si erano evoluti  liberandosi della dipendenza dalle credenze e dalla magia.




Un giorno Garlico, il suo apprendista dall’aspetto mostruoso, un umano umile, timido ma curioso, su cui lo stregone testava le nuove pozioni in cambio della conoscenza dei rudimenti della magia, ebbe il coraggio di contraddirlo davanti ad una sua citazione sbagliata su un incantesimo per fare crescere scaglie di drago indistruttibili sulle ali delle farfalle.




Lo stregone era spaesato e stupefatto. L’apprendista, l’unica persona che aveva ancora la pazienza di stare con lui, aveva ragione. Non gli era mai capitato di venire corretto da nessuno dei suoi assistenti mortali legati al ciclo di nascita e morte e senza riuscire a controllare la sua rabbia lo cacciò.




In quel momento capì come ottenere ciò che aveva sempre desiderato. Avrebbe lanciato un incantesimo sulla città capace di portare ignoranza nella mente di ogni persona. In questo modo sarebbe stato l’unico a sapere le cose e gli umani sarebbero tornati ad avere bisogno di lui.




È così che iniziò a strisciare tra la gente la regressione, l’incantesimo dell’assoluta ignoranza. Le persone cominciarono a non capirsi più. Perdevano continuamente l’attenzione, anche per piccole cose. Incapaci di fare semplici ragionamenti dopo poco tempo andavano su tutte le furie. Senza riuscire ad accogliere punti di vista diversi, ogni tentativo di comprendersi portava matematicamente alla frustrazione e poi al litigio. Gli scambi di idee, dopo molti tentativi, si estinsero.




Le persone smisero di incontrarsi non ritenendo più necessaria l’amicizia, anzi, non capendone neanche più il senso. Con l’andare del tempo la regressione rese incomprensibili le persone le une alle altre. La città, una volta ricca di menti geniali, piena di talenti e sulla soglia delle più grandi scoperte tecnologiche, diventò un luogo in cui ognuno si comportava animato dagli istinti più bassi e perversi.




L’incantesimo diventò sempre più potente. I cittadini, non sentendo più il bisogno di camminare sulle due gambe, da un giorno all’altro, come in una epidemia, abbandonarono la posizione eretta e cominciarono a camminare su tutti e quattro gli arti.

Lo stregone aveva raggiunto il suo scopo. Gli umani erano tornati a venerare i suoi poteri occulti e lui era tornato ad essere la risposta alle loro paure, paure che lui stesso aveva generato attraverso la diffusione dell’ignoranza causata dalla regressione.




Tra gli uomini che gli dimostravano maggiore fedeltà, quindi tra quelli su cui la regressione aveva avuto maggiore successo di istupidimento, scelse la sua guardia armata: esseri umani a cui aveva restituito la posizione eretta senza togliere il maleficio della regressione, attraverso un doloroso esoscheletro che li rendeva ancora più cattivi.

Garlico, l’aiutante dello stregone, da tempo aveva capito che qualcosa non andava. La sua famiglia aveva una protezione maggiore agli incantesimi e questo, nei tumulti causati dalla stupidità dilagante, li aiutò a rimanere uniti. Come tutti gli altri però, la sua compagna Ibisca e lui avevano perso la posizione eretta e si muovevano contro la loro volontà alternando per spostarsi mani e piedi a terra.




Inspiegabilmente Meringa, la loro bambina, come tutti gli altri bambini della città, non aveva risentito degli effetti del maleficio. Nessuno tra loro era diventato stupido o aveva preso a muoversi a terra come i genitori.




La regressione comunque era talmente potente che anche le sue conoscenze di magia pur non sparendo, gradualmente, di giorno in giorno, entravano in una sorta di stagnazione mentale da cui molto di tutto ciò che aveva appreso era difficile da riportare alla memoria.




Fino all’ultimo aveva cercato di salvare più persone possibili incominciando questo difficile compito dai genitori di entrambi, da ogni amico e da ogni sua famiglia, per farli scappare con loro.




In molti casi era riuscito con successo a svegliarli dalla regressione, ma vedendo ormai gli ultimi tentativi fallire si convinse che era tempo di abbandonare la città caduta completamente sotto l’influenza dell’incantesimo dello stregone e controllata dai suoi sgherri per trovare il modo di riportare tutte le persone alla ragione in un secondo momento.




Dopo una lunga notte di dialogo fatto di scambio di idee e proposte di cui i presenti avevano ormai quasi perso il ricordo ed il piacere, riuniti insieme in cerchio davanti al fuoco e lontani dall’influenza del maleficio che si estendeva per decine e decine di chilometri, l’aiutante dello stregone, la sua famiglia, i loro genitori con gli amici e le famiglie dei loro amici, decisero di radunare i materiali nella foresta necessari a costruire un robot indistruttibile grazie alla magia che l’aiutante dello stregone nonostante la regressione ancora riusciva a ricordare: l’incantesimo per fare crescere a dismisura scaglie di drago sulle ali delle farfalle.




Furono giornate di lavoro ininterrotto. Il contributo di ogni persona fuggita dalla città per scampare definitivamente alla stupidità era importante. Ogni intelligenza era necessaria e ogni persona camminando umiliata ancora con gli arti posteriori ed anteriori a terra tangibilmente era cosciente di cosa ci fosse in gioco.







Si divisero in squadre assegnandosi le mansioni per costruire e collaudare minuziosamente ogni dettaglio. La corazza esterna, fatta di legno, veniva coperta da miliardi di larve di invincibili farfalle dalle ali coperte di scaglie di drago che si sarebbero schiuse il giorno della partenza.




La struttura interna era composta da articolazioni fatte da decine di cilindri e ruote, in tutto simili a quelle usate usate per fare sgranchire le zampe ai criceti, soltanto molto, ma molto più grandi. I cittadini, correndo al loro interno, erano responsabili della forza del robot che grazie a loro muoveva il corpo dalla stazza ciclopica.




I bambini, tramite fischietti, bandierine e corde davano indicazioni dalla testa che torreggiava sopra le nuvole ai genitori, regolando la direzione, la velocità ed il ritmo di ogni movimento.

Garlico l’apprendista stregone, la compagna e la figlia che avevano iniziato la rivolta insieme alle altre famiglie si preparavano per la battaglia finale.





Pur essendo sostenuto da miliardi di ali di farfalle che rendevano ogni passo del robot molto più leggero di quanto fosse in realtà per permettere a chi era al suo interno di muoverlo con facilità, lo spostamento d’aria dovuto alla sua stazza, arrivato alla periferia della città, svegliò il mago che al mattino presto era già sveglio e stava facendo colazione. Quello che doveva essere un attacco a sorpresa quindi non funzionò alla perfezione.




Terrorizzato dalla stazza dell’essere che gli veniva lentamente incontro, dal bagliore e dallo scintillare delle ali che a quella distanza sembrava fossero un muro unico di nubi piene di saette, prima di scappare, nel tentativo egoistico di salvare la propria vita, lanciò i suoi sgherri ed i cittadini rimasti, diventati completamente uno più stupido dell’altro nel frattempo, contro il gigante all’interno del quale si muovevano sincronizzando i loro sforzi decine e decine e decine di donne e uomini che correvano avanti e indietro sulle ruote delle articolazioni guidati dai segnali inviati dai bambini.




I tirapiedi del mago, nonostante fossero dotati di una forza sovrumana grazie agli esoscheletri, attaccarono i piedi del gigante che erano ben difesi dalla nube di farfalle, dall’apprendista stregone e dalla sua compagna, senza riuscire a fermarne l’avanzata.




Fu la stupidità di un cittadino pauroso, spinto in battaglia davanti a tutti gli altri, che ormai troppo stupido per coordinare i quattro arti, inciampando e cadendo rovinosamente, costrinse le persone dietro di sé a cadere a loro volta gli uni sopra agli altri in una montagna umana di stupidità.




I bambini al comando, dall’alto del loro punto di osservazione dalla testa del gigante, cercarono di fermare la sua avanzata per non pestare tutta quella gente imbranata, ma gli ordini improvvisi e contraddittori confusero lungo gli ingranaggi chi correva in ogni ruota e a sua volta il gigante cadde al suolo.



Era così grande, così alto, che la distanza che lo stregone aveva percorso nella fuga era stata coperta con la lunghezza del suo corpo steso a terra.

Lo stregone sembrava avere vinto ancora una volta grazie alla stupidità che aveva diffuso. Le donne e gli uomini che operavano le articolazioni, salvate al volo da nuvole scintillanti di farfalle drago, si chiamavano e cercavano tra i giganteschi pezzi di armatura al suolo altri superstiti.




Il gigante era a terra, rotto, sparpagliato a pezzi in maniera disordinata lungo tutta la città. La testa con all’interno i bambini era rotolata fino a raggiungere lo stregone.




Illesi, contandosi più volte per verificare non mancasse nessuno, si  facero coraggio. Vedendolo proprio davanti a loro, decisero di scendere dalla bocca del gigante calandosi da carrucole e funi di fortuna per poi prendersi per mano ed accerchiarlo.

Erano coscienti di tutta la distruzione che aveva causato. Della condizione di stupidità a cui aveva ridotto tutti i loro genitori e tutto questo per sentirsi inutilmente più sicuro di sé, più importante.

Ricordavano ogni giorno di frustrazione, di litigi improvvisi, di rabbia dovuta agli istinti più bassi in cui i loro amati genitori erano stati costretti rendendoli bestie irriconoscibili.

Li vedevano anche quel giorno, nonostante tutti i loro sforzi per diventare persone migliori resistendo al potere dello stregone, ancora ridotti a camminare con piedi e mani a terra.




La figlia di Garlico e Ibisca uscì dal cerchio dei bambini cominciando ad avvicinarsi allo stregone che era visibilmente incredulo del suo coraggio.

Prima che potesse fare qualsiasi cosa si lanciò verso di lui dandogli un morso fortissimo sul dito che le aveva proteso a monito urlandole di non avvicinarsi.



All’urlo sguaiato dello stregone i bambini si guardarono tra loro e si misero tutti a ridere. Avevano capito che anche loro, pur non essendo soggetti alla regressione ed a camminare su tutti e quattro gli arti, avevano attribuito una importanza enorme a quell’uomo prepotente che li aveva sempre fermati dallo sfidarne i presunti poteri.




Il cerchio cominciò a stringersi su di lui fino a che ognuno, prendendo la rincorsa e saltando sul suo corpo, chi sul braccio, chi sulla testa, chi sulle gambe non era preso nel mordergli un piccolo lembo di pelle.

Impegnato ad urlare dal dolore era incapace di pronunciare anche solo il primo verso di qualsiasi incantesimo per spazzarli via e si buttò a terra, rotolando e saltando su sé stesso, per liberarsi da tutti quei bambini che divertiti lo mordevano su tutto il corpo.




Lo shock di questo affronto inconcepibile lo fece iniziare a tremare e sbavare, poi cominciò ad uscirgli un fumo denso dalla bocca, dagli occhi e dalle orecchie da cui potevano vedersi in trasparenza ogni tipo di mostruosità deformi venirne abortite e scoppiare in luci rosa arancioni e verdastre fino a che a terra non rimasero i vestiti che presero fuoco diventando polvere.




Dello stregone sembrava non essere rimasto più niente come del suo incantesimo della regressione. Ma questo non era altro che il primo dei diecimila trucchi e formule che aveva imparato secoli e secoli prima, in giovane età, quando ancora non era uno stregone ma un artista di strada che stupiva i passanti con semplici trucchi di prestigio: la sparizione.

Certo questa volta era stata una sparizione da dieci e lode, con maggiori capacità drammatiche ed effetti scenici, ma era sempre il buon vecchio trucco della sparizione.




Anche l’influenza della regressione, una volta sparito lo stregone, si era volatilizzata dalla città. Sul campo di battaglia i suoi tirapiedi tornavano in sé e senza capire cosa fosse successo salutavano i cittadini che fino a poco prima avevano combattuto. Mentre gli uni ancora coperti di farfalle dalle ali di scaglie di drago spiegavano agli altri a grandi linee tutti i recenti accadimenti, si diressero dove era arrivata rotolando la testa del gigante correndo verso i loro bambini.






Da quel punto di osservazione sulla valle Garlico, la sua famiglia e tutti gli altri cittadini poterono assistere insieme ad uno spettacolo davvero strano ed inaspettato. Un vecchio uomo, magro, livido e un po’ bruciacchiato, urlando parole sconnesse senza senso, scappava verso la foresta a grande velocità, senza vestiti, nudo, come un selvaggio e mano a mano che gli occhi dei presenti lo seguivano prendere il sentiero per i primi alberi, l’uomo bruciacchiato sembrava quasi accelerare quello che a tutti i presenti aveva tutta l’aria di una inspiegabile e velocissima degenerazione ed un passo dopo l’altro, continuando ad urlare parole disconnesse, lo videro inarcare la schiena e prendere a camminare alternando i quattro arti poggiando piedi e mani addentrandosi oltre il fitto imperscrutabile della vegetazione.




Garlico ed Ibisca, la sua compagna, presero le mani di Meringa, la figlia. La fecero volteggiare un po’ in aria e poi si diressero verso casa portando la testa del robot con sé aiutati nel trasporto dalle farfalle dalle ali coperte di scaglie di drago. Meringa meritava una cameretta più grande dopo il morso al dito dello stregone. Quella era stata davvero una azione coraggiosa che andava premiata.